domenica 21 settembre 2025

Spese militari: difesa o nuova corsa agli armamenti?



Numeri e contraddizioni di un’Europa frammentata, tra aiuti miliardari all’Ucraina, welfare a rischio e il dominio degli Stati Uniti nel mercato delle armi.

Come dice giustamente l’autore di questi pensiero e raccolta dati che è Dario Rivolta, già senatore della Repubblica e stratega di politica estera, la questione è cruciale.

Il tema delle spese militari resta il grande non detto dell’agenda europea. Dario Rivolta osserva che i numeri – forniti da istituti internazionali – parlano chiaro: Stati Uniti in testa con quasi mille miliardi, Cina e Russia a distanza, Europa frammentata tra doppioni, sistemi incompatibili e ordini che finiscono più nelle fabbriche nazionali che in un ipotetico mercato comune della difesa.

L’argomento ufficiale è la “difesa”, ma spesso le spese hanno natura offensiva. Non mancano le contraddizioni: la NATO predica unità ma l’Europa continua a dividersi in cordate contrapposte – perfino sui caccia di sesta generazione – mentre la Germania, locomotiva continentale, si tiene strette le commesse. Sullo sfondo, l’Ucraina: 68 miliardi di aiuti militari Usa, 53 europei, prestiti difficilmente rimborsabili e una ricostruzione che secondo la Banca Mondiale richiederà quasi 500 miliardi in dieci anni.

Il nodo politico resta irrisolto: chi comanderà l’eventuale esercito europeo, ammesso che prenda forma? La tentazione è scaricare il costo sul welfare nazionale, ma senza una guida politica unitaria il rischio è di spendere molto e ottenere poco. Qui sta il paradosso: si parla di difesa comune, ma ognuno fa per sé.

Spese militari nel 2024 (miliardi di dollari USA)

(incluse stipendi, pensioni, R&S, forze para-militari, aiuti Ucraina, missioni fuori confine)

PaeseSpesa (mld \$)
Stati Uniti968
Cina235
Russia146
Germania86
Gran Bretagna81 (inclusi aiuti all’Ucraina)
India74
Arabia Saudita72
Francia64
Giappone53
Corea del Sud44
Australia36
Italia35
Israele34
Ucraina28 (in gran parte prestiti difficili da restituire)
Polonia28

Principali esportatori mondiali di armi (quota % 2019-2023)

(Fonte: SIPRI – Arms Transfer Database)

PaeseQuota export (%)
USA43 %
Francia9,6 %
Russia7,8 %
Cina5,9 %
Germania5,6 %

Nota: 2/3 (66%) delle armi importate dai membri NATO europei negli ultimi 5 anni provengono dagli USA.


Aiuti all’Ucraina (fino a fine 2024)

(Fonte: Kiel Institute)

Aiuti finanziari

Area/PaeseImporto (mld €)
USA44
Europa (UE + membri)50
Altri Paesi20

Aiuti umanitari

Area/PaeseImporto (mld €)
USA2
Europa10
Altri3

Aiuti militari

Area/PaeseImporto (mld €)
USA68
Europa53
Altri16

Ricostruzione Ucraina (stime Banca Mondiale)

PeriodoCosto stimato
2024–2033486 miliardi €

Ecco quindi  la riscrittura  di un falso timore sociale sotto il paradigma  della mancanza, del desiderio e dell’ambivalenza:


Le spese militari interrogano non solo i bilanci degli Stati ma il nostro inconscio politico. Ogni volta che si invoca la “difesa” si mette in scena un lapsus: perché dietro questa parola rassicurante si cela, troppo spesso, il suo contrario, l’offesa. È il rimosso che ritorna.

I numeri dicono di un’Europa smembrata, incapace di darsi un volto unitario, divisa in cordate e rivalità che ricordano i conflitti infantili di fratelli gelosi. Mentre l’America investe miliardi e occupa la posizione del Padre, garante della legge e al tempo stesso monopolista delle armi, l’Europa resta nel registro adolescenziale: frammentata, incapace di assumere fino in fondo la propria responsabilità.

E poi c’è l’Ucraina, oggetto di investimento e di sacrificio, il luogo dove si proietta il desiderio di redenzione europea. Ma ogni sacrificio ha il suo rovescio: il rischio di svuotare il welfare, di trasformare la cura dei cittadini in un’illusione. È come se l’Europa volesse costruire una nuova identità sul lutto altrui, dimenticando che il legame sociale non nasce dalla guerra ma dal riconoscimento reciproco.

Qui il punto: la difesa diventa un sintomo, una parola che copre l’angoscia dell’Europa di non esistere come soggetto politico. Spendere senza un’unità significa solo ripetere l’atto compulsivo, moltiplicare la spesa per coprire la mancanza. Ma ogni rimozione prima o poi ritorna. E allora la vera domanda non è se le spese siano per difesa o per attacco, bensì: quale Europa stiamo difendendo, se non c’è ancora un’Europa da difendere?


Di Comitato Redazionale E.F.

domenica 7 settembre 2025

Ma che popolo siamo? Un popolo malato di mediaticità di mezzo.


a cura di Ermanno Faccio

Abstract

La guerra non è un destino ineluttabile, ma una malattia psichica collettiva. Alla luce delle Scritture (Vecchie e Nuove), della psicoanalisi freudiana, della filosofia di Galimberti e della clinica di Recalcati, il fenomeno bellico appare come il frutto di un oblio spirituale, del ritorno delle pulsioni di morte, della crisi di senso della civiltà tecnica e di un delirio paranoico di purezza. La violenza diventa così il sintomo di un contagio mentale che trasforma i popoli in masse deliranti. La guarigione è possibile solo ricordando la fraternità originaria che ci lega, accettando la fragilità umana e scegliendo la via della cura e della memoria al posto delle armi.


La guerra come malattia dell’anima

C’è un passo delle scritture che ammonisce: “Quando gli uomini dimenticano Dio, si scagliano gli uni contro gli altri, e la terra si riempie di sangue”. È il Libro di Mormon a ricordarci che la violenza nasce sempre da un oblio, da una dimenticanza spirituale: l’oblio della fraternità che ci costituisce. Là dove non si riconosce il fratello, si arma la mano.

Freud ci direbbe che la guerra è il ritorno del rimosso: la pulsione di morte, lasciata senza simbolizzazione, diventa padrona del campo. Ma non è un destino biologico: è il frutto di un contagio psichico collettivo. Quando l’Io non regge il peso dell’angoscia, cede alla fascinazione di un nemico immaginario: allora il soggetto si tranquillizza distruggendo l’altro. È un meccanismo nevrotico, ma su scala di popoli interi.

Galimberti aggiungerebbe che la guerra non è solo politica, ma una crisi del senso. Dove il pensiero si atrofizza e la tecnica prevale, l’uomo si riduce a ingranaggio cieco che esegue ordini, incapace di ascoltare la propria voce interiore. La violenza, allora, diventa la scorciatoia per colmare il vuoto di significato. La guerra è la malattia di una civiltà che non sa più pensare l’umano.

E Recalcati ci ricorda che ogni guerra nasce dall’illusione paranoica della perfezione: il nemico sarebbe colui che macchia la nostra purezza, colui che deve essere espulso per poterci sentire integri. Ma è un delirio. Il reale dell’altro non può essere cancellato senza cancellare noi stessi. Il corpo del nemico, ferito e umiliato, è lo specchio della nostra ferita non accettata.

Così, quando i popoli si ammalano insieme, la guerra diventa un sintomo psichiatrico collettivo: un tarlo che rode le menti, un’allucinazione condivisa che trasforma esseri umani in oggetti sacrificabili.

Per questo ogni guerra è sempre follia. Non è l’eroismo degli eserciti, non è la gloria delle bandiere, non è il destino delle nazioni. È l’incapacità di sopportare la fragilità che ci accomuna, la paura dell’altro che ci abita.

Solo un lavoro di memoria, di cura e di pensiero può guarire questa malattia. Solo riconoscendo che non esiste vittoria possibile quando muore un uomo, possiamo liberarci dal delirio.

La guerra non è necessità: è la nevrosi collettiva di un’umanità che ha smarrito il senso. E come ogni nevrosi, può essere curata. Ma la cura non sta nelle armi: sta nel ricordare che l’altro è il mio fratello, e che la sua vita è la mia vita.



Ecco la tabella completa e ordinata, con l’inserimento dei dati di Gaza e Aleppo, secondo le colonne richieste:

# Conflitto (luogo e periodo) Popolazione totale pre-conflitto Durata (mesi) Decessi stimati massimi % popolazione morta/mese % popolazione morta totale
1 Sri Lanka (2009) 400.000 2 70.000 8,75% 17,5%
2 Falluja (2004) 300.000 1 1.000 0,33% 0,33%
3 Mosul (2016–2017) 1.500.000 9 40.000 0,29% 2,66%
4 Grozny (1994–2000) 400.000 36 40.000 0,27% 10%
5 Gaza (2023–2025) 2.300.000 21 60.000 0,12% 2,61%
6 Aleppo (2012–2016) 2.000.000 48 34.000 0,03% 1,7%

Ecco alcune fonti solide e attuali sui dati relativi ai decessi nella guerra a Gaza e nella battaglia di Aleppo:


Dati aggiornati su Gaza

  • AP (Associated Press): al 29 luglio 2025, il Ministero della Salute di Gaza — ente controllato dal governo Hamas — ha riferito che oltre 60.000 palestinesi sono morti nel conflitto durato ormai 21 mesi (dal 7 ottobre 2023) (AP News, The Washington Post).

  • Reuters conferma un dato molto simile: "Oltre 60.000 persone sono state uccise a Gaza" come riportato fin dal 29 luglio 2025 (Reuters).

  • The Lancet, rivista medica autorevole, stimava già al 19 giugno 2024 circa 37.396 decessi in Gaza (The Lancet). Questo evidenzia variazioni nei conteggi — spesso legate a difficoltà nel raccogliere dati precisi, distruzione delle infrastrutture sanitarie e di monitoraggio, e presenza di vittime non registrate o sotto le macerie.

Questi elementi spiegano le differenze nei numeri e le controversie sull’accuratezza dei dati, ma confermano che il bilancio accertato è ben sopra i 60.000 morti.


Dati sulla Battaglia di Aleppo (2012–2016)

  • Secondo la Violations Documentation Center (VDC), tra il 19 luglio 2012 e il 15 dicembre 2016, la battaglia di Aleppo causò circa 31.273 morti registrati, di cui il 76 % erano civili (pari a circa 23.600); il restante 24 % erano combattenti (Wikipedia).

  • Altri monitor come SOHR (Syrian Observatory for Human Rights) riportano circa 21.452 civili uccisi durante quei 1.612 giorni di combattimenti (Wikipedia).

Complessivamente, le stime totali delle vittime (combattenti + civili) di Aleppo oscillano tra 35.000 e 45.000 (Wikipedia).


Tabella aggiornata con fonti attendibili

# Conflitto (luogo e periodo) Popolazione pre-conflitto Durata (mesi) Decessi stimati massimi % popolazione morta/mese % popolazione morta totale
5 Gaza (2023–2025) ~2.300.000 21 60.000 (dato confermato) ≈ 0,12 % ≈ 2,6 %
6 Aleppo (2012–2016) ~2.000.000 48 35.000–45.000 (stima) ≈ 0,06–0,09 % ≈ 1,75–2,25 %

Conclusione riflessiva

I dati confermano che:

  • Gaza, pur drammaticamente tragica, risulta avere una percentuale mensile di decessi inferiore rispetto a conflitti storicamente devastanti come lo Sri Lanka nel 2009.

  • Aleppo mostra proporzioni simili—anche se inferiori rispetto alla battaglia srilankese.

Questo rafforza l'idea che, sebbene il numero assoluto di vittime a Gaza sia altissimo, il contesto di densità abitativa, tattiche di combattimento, e durata del conflitto aiuta a interpretare meglio la portata del disastro—spostando l’attenzione non solo sul numero, ma su come e perché quei numeri emergono.

É possibile  ordinare la tabella in ordine decrescente per % morti mese, o aggiunga ulteriori conflitti per approfondire il confronto,lasciamo ai lettori il miglior studio dei dati.

Altre Fonti 

Chiosa
Con questo non vogliamo giustificare nel modo più assoluto alcun conflitto, che — come spiegato fin dall’inizio — resta sempre il frutto di una follia collettiva. È un punto fermo da cui ripartire: non ci sono attenuanti né spiegazioni che possano trasformare la guerra in necessità storica o in destino geopolitico. C’è solo la responsabilità di riconoscerne la radice psichica e culturale, e di trarne le conseguenze. In questo, più che nelle cifre e nei bollettini, si misura la vera capacità di un popolo di guardare oltre l’odio e scegliere, finalmente, la cura al posto della distruzione.

Di Comitato Redazionale E.F.

Spese militari: difesa o nuova corsa agli armamenti?

Numeri e contraddizioni di un’Europa frammentata, tra aiuti miliardari all’Ucraina, welfare a rischio e il dominio degli Stati U...

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